In Memoriam di Giovanni Cozzani
A cura di Giovanni Andrea Semerano
È stato un susseguirsi di
spallate poderose alla vita. Sono venute a mancare in questi anni, tante, troppe
persone che hanno lasciato nel vuoto le care fondamenta della piccola Stanza.
Gli amici mancano, restano presenti. Burrasche, assenze di tempo, giorni
difficili passati a cercare rotte o mappe oramai scolorite dal tempo. Il bene e
la visione. La morte genera fratture, crepe, servono scarpe chiodate per non
scivolare.
Negli ultimi
due anni ci siamo spesso fermati, anche restando in totale solitudine. Cercando
di capire dove porre gli accenti, dove e come trovare le cose da fare. Quante
cose fatte nel tempo che cambiano, si trasformano, creano altre cose. E poi le
cose che cambiano nome restando cose, oppure cambiano il nome con il nome di
altre cose. Quel poeta e la poesia che ha scritto, resta appena la risata, la
nebbia di una cena che si ferma solo quando la cameriera sembra guardare verso
il nostro tavolo. Il ricordo si dilata perde la capacità di ricordare il nome,
anche quello del poeta. Non ha importanza. Il diario sconfina nel testo e
sembra un capitombolo ma è un colpo di sonno.
Le distanze, i lutti, gli appunti da fare, da tenere, le voci da registrare, quello sguardo appena visto, scrivere a penna su un quaderno e quel foglio strapparlo e farne aereoplanino di carta. Dove sono le incompletezze? i toni, i respiri, quella cara presenza che ora è inutilizzabile? Non c’è forma. I morti non danno più respiro, tocca a noi. Ma di tutta questa storia, solo un appunto, uno scarabocchio, un segno, resta a fare la traccia. Un’impronta da seguire? O lasciare che il tempo la cancelli?
È un culto privato, relazioni clandestine, certamente unite dal sentimento di una storia di libertà. Fare i quadri en plein air non è una posizione comoda. A volte l’ultima pennellata, non avendo interlocutori, sopravvive alla luce esterna e s’impone sulla via del ritorno. È nella stanza poi che lo sguardo arretra, si dispone, mette distanza, s’inarca la solitudine, la malinconia sfianca il momento, si raggiunge a malapena la sedia. La giacca resta sul tavolo, il gomito ne schiaccia la tasca. È qui, che lo sguardo incontra la tela. Nel silenzio.
Seguì un certo dialogo da quel film, prima di tutto questo, quando questo era già accaduto:
“A volte le
cose appaiono insipide, ma assaggiandole ci si rende conto che sono
profondamente avvelenate. Qualcuno ci muore.”
“È una strana
mediocrità che finisce con l’investire qualsiasi cosa.”
“Non
sappiamo più chi è un dottore, un politico, un artista, un professore, un
giornalista…non riconosciamo le qualità delle persone. Ci manca il cinema, ci
manca la musica, ci manca la letteratura, la poesia”.
Il dialogo s’interruppe. Il funambolo e il satiro si allontanarono lungo la strada di sampietrini, costeggiando i muri delle case. C’era un’aria strana, di come quando sta per ricominciare la fine, sempre la fine, senza trovare l’incomincio con la certezza che non si sarebbero mai più visti.
Negli ultimi
mesi sono venuti a mancare Alain Tanner, Jean-luc Godard e Jean-Marie Straub.
La piccola camera si è accartocciata, ha cominciato a sanguinare tra sussurri e
grida che hanno impedito qualsiasi movimento. Abbiamo cominciato a correre tra
le mura della stanza, come dei Keaton impazziti, folli, feroci nel rincorrere
l’impossibile Film.
Ma quando il
nostro caro, unico, cosmogonico Giovanni Cozzani è morto, ci siamo trovati
sbattuti per terra.
Giovanni
Cozzani era la Camera Verde, sempre presente, tutti i santi giorni di tutti gli
anni che dal novembre del 1999 hanno visto tirare su la saracinesca della
Stanza. Cozzani era sempre qui. Presente a tutte le inaugurazioni, a tutte le
presentazioni dei libri, presente sempre, con o senza le persone. Testimone
oculare di tutti i movimenti delle pale del fantasmagorico mulino mosso dalle
idee che trasformavano il tempo della Stanza. Cozzani era un fervido Don
Chisciotte ma all’occorrenza anche un geniale Sancho.
Un grande
artista, un uomo unico, mi manca ed è chiaro che una parte di me se ne è andata
con lui. Era davvero il mio Don Chisciotte. Tante le mostre di pittura fatte,
dentro ma anche fuori dalla Camera Verde. Tanti i film, i corti, girati insieme.
Quante inquadrature ridendo e con gli amici. Quante le mangiate e le bevute. I
viaggi. Cozzani era una colonna costante. Non c’è Camera Verde senza Cozzani.
Non c’è mai stata, non ci sarà mai.
Apriamo il
2023 con un’esposizione che abbiamo costruito quando ancora il caldo di luglio
ci sfiancava. Non è stata una bella estate, ma i giorni hai continuato a
masticarli come volevi, come sempre hai voluto. Dipingendo, mettendo colore su
colore, da un autoritratto all’altro, e poi un paesaggio, fino agli ultimi
quadri: la tua camera, il tuo studio, diventati luoghi di una memoria aperta,
incontaminata, con un infinito senso di libertà, di vita.
Abbiamo
rimandato l’inaugurazione a dicembre, ma il 1 novembre, mentre tornavi in auto
da La Spezia, con tua sorella Anna e tuo nipote Vinicio, ti sei addormentato e
poi d’improvviso, a Tarquinia, il sonno ti ha preso per sempre.
Da allora la
Stanza è rimasta in silenzio.
Riapriamo il
26 gennaio 2023, alle ore 17, con EN PLEIN AIR In Memoriam di
Giovanni Cozzani.
Non
rimproverateci se non spediamo comunicati, email, sms… tiriamo su la
saracinesca e appendiamo al chiodo il basco di Giovanni Cozzani, comprato a
Paris.
Buona Visione.
"Creare non significa deformare o inventare persone e cose. Vuol dire stringere fra persone e cose che esistono, così come esistono, rapporti nuovi."
(Robert Bresson, Note sul Cinematografo, ed. Marsilio)