da "The Shootist" ed. La Camera Verde
X0+YK|=|HJ-XY °°°__ __Fuori servizio.
Mezzo tempo, scatto, fuori esposto, intermittenza voluta e non. Apostrofo! Si può, trattandosi di Lynch, e dopotutto si può giocare a ping-pong. Che tipo di film? Che tipo di racchetta? (marchetta?) Si incassano i colpi? Certo, (...)-(...)= ç. Si salgono le scale. Si interpreta un ruolo, quale ruolo? della protagonista?
Film+Film-Film=Film, eccetera. Ancora la nave va? La critica che critica fa? Si può raccontare la storia? La trama? Dove si trama? Ma in verità non c'è nulla! Un cacciavite? C'è sempre un cacciavite, chissà perché? L'interruttore. Luce di lampada che emana paura. Dov'è la paura? Nel suono? Nell'iper-barocco vuoto? Manca il fuori centro. I passi nel teatro di scena, scena che specchio vorrebbe essere il film o mente filmata di chi gira e rigira e rifrigge, diciamo luce al tegamino? Probabile composizione di un giardino greenwayiano, tra Disney (molto di questo film deve a Biancaneve e i sette nani) Beckett o Brecht? Ma abbiamo trovato anche frammenti di Pina Bausch, frammenti alla deriva, come se tutti i corpi stessero all'interno di un balletto mancato. E l'affanno si muove tra un hitch come se fosse uno starnuto, e un hitch come se stessimo a prendere un the. Tutto è mentale? O ci troviamo dentro un remake? O è una cosa filmica normale? O siamo dentro una continua e impensabile 'cancellatura di cronologie'? Il grandangolo è la zona prescelta, primo piano e primissimo piano onirico. Il divino reale. La critica ora come non mai si è adeguata al film visto o non visto.
Kaf.Ka.K------____(----- )+(_ ___ __), Hic°°°°Virtual digital, set capovolto.
Gira che ti rigira che girando e rigirando forse ti dico di cosa si tratta o cosa in verità voglio girare e dirti. Perché filmare un incubo non è facile. Filmarlo filmandolo è folle. E filmare la follia che sta girando il film dentro un altro film, è come andare oltre qualsiasi notte americana, è come cercare il 10 e mezzo. E' come rifare qualcosa di già fatto, cinema nel cinema, quante volte girato e rigirato, e insieme cercando magari i contenuti di quel viale al tramonto che il cinema, sempre, quando parla di sé tratteggia e sfuoca. Ma qui siamo nel bel mezzo di una labirintite. Lynch ha un grande impianto onirico, ma nel fare il quadro troppo spesso semina l'intero territorio con fidanzati e ruffiani quando l'immagine richiederebbe semplicemente un medico… Qualcuno direbbe divieto d'accesso. Troppi i riferimenti forbiti e intelligenti che ne L'impero della mente si succedono e si accavallano. Si parla tanto, si accenna a quello che bisogna vedere o a quello che non vedremo affatto. I dialoghi restano incollati ai segmenti d'immagine che ora precedono ora avvengono dopo, ma dopo quello che si è raccontato.
E il discorso resta lo stesso, dentro lo stesso film. Non ha importanza chi guarda. Già da tempo il mattino ha l'oro in bocca. Come possiamo ancora desiderare il desiderio di Lynch? Come possiamo ancora dire che stiamo a guardare? Come si può? Memoria può? dove ci mettiamo? In prima fila? Vicino l'uscita? Al centro? Le scale, le scale, l'interruttore, il critico che fa? Ce l'ha una memoria? La morte, un assassinio, una passione. Il tracollo dell'ideuzza. dentro un imbuto di freccette. Un testo desiderato. Un film maledetto. Già fatto al cinema, dove morti d'amore i proto-protagonisti sul serio, ma sul serio c'è solo chi mente la mente accapo e ciao lynch. Lynciaggio d'immagini esposte sovraesposte. Andirivieni occulto. S'occulta il film! Eccole le immagini, eccole, rivelate, autenticate, ma si, si può, si deve, comunque si può, si può anche uscire prima, anche poco prima della fine, la fine, non ha senso la fine, è la fine fin dall'inizio, e dunque si può, si può anche dieci minuti prima di entrare, si può uscire prima di fare il biglietto ma anche dopo, anche qui si può diciamo girare pagina, anche subito, e le tre ore accavallarsele (sulle gambe). Ma si cacciarselo lo cacciavite, su un fianco e poi interrogarsela la vita, vita cacciata, e poi si sa, si sa già tutto, labirintite compresa...(...).
XY+0690=òKK-UU4JLG un muro, e che caspita! 00JLG00,1X per di là. H724.
Autopsia, utopia, dieci alla decima. Leggere per non perdere la bussola. Tutti i cancelli chiusi al cielo. Le albe restano fatali. I pistoleri hanno non solo una mente ma girano oltre i saloon e i bordelli. E riconoscono gli imperi. Sono tutti morti per cause naturali. Westworld. Il contegno del narratore e della narratrice si inserivano nel dramma, come il coro in Euripide, ma qui pavoneggiandosi di penne critiche e secondo una burbanzetta paesana, probabilmente sindacata, dimentica talora, sì, del barbiere e ignara d'ogni borotalco, ma regolarmente esalante urina…questa visione, nostra e schietta dove i suoni e le immagini nostra indole sincera e non insinuante, e dove di Lynch resta in terra la vestigia della nostra storia, dove nemmeno un dizionario qualificato può tacere le stellette, siamo dove nemmeno il film sperava di essere e di portarci. E in fondo c'era una storia d'amore, cancellata da virtuosismi neri e possessivi. Questo desiderio non è una questione linguistica, il desiderio di Lynch è critica stessa, abnorme, ieratica, ma allo stesso tempo ampia gelida, che usa terminologia fredda. Lynch è punto critico dove chi versa è anche esso stesso l'emozione e il corpo. Dove il critico è il regista stesso che fa la critica e il film. Chi guarda è chi gira. E chi scrive è il personaggio del film. Lynch articola limpidi ragionamenti. E' questione di autorità, e Lynch rovista quanto più può e ogni indizio guadagna la strada di questo impero. Trovare il cielo, riunire la pattuglia, tornare all'acqua, cunicoli e lampadine, camere, interno camera. Dov'è Lynch a depistare e a farci scendere di corsa la scale? Chi è che scende le scale? Un corpo nudo? Un corpo nudo giace. E allora la storia si fa e si scrive al passato, si filma come se fosse passata la storia stessa: levò dal comodino la rivoltella, e una lampadina a pila, accendendo a mano a mano, una dopo l'altra, tutte le luci di casa. Lynch è qui. Inland Empire è la gestione di un cimitero, con varianti che entrano ed escono dal sogno, dalla visione, dal film. E i salti apparenti sono in verità trappole, anzi cuciture che stringono, alle 10 e 10, fumando una sigaretta e la bocca semplicemente contratta. E' una questione estremamente seria. Violenta. E sono le 9 e 45. La violenza è efferata, sfigurata nel pallore, coi labbri esangui che tremano convulsivamente e bevono disperate gocce, 'Non so cosa ci faccio qui', dice lei, 'Mi è stato detto che lei può aiutarmi…' continua lei. E' un interrogatorio. E rimane con le mani giunte sul grembo, senza osare di abbassare gli occhi alla memoria straziata del marito. E dopo la violenza esplode. E il corpo di lei resta tumefatto. Dopo una tentata violenza carnale. 'gli prendevo i coglioni e glieli strappavo.' Lei racconta tutto nell'interrogatorio. Grandangoli spinti e deformanti. Lynch racconta questa storia rincorrendo e spostando sia i luoghi che i ricordi, spostando la luce, e gli interni. 'Guardava davanti a sé, nell'incredibile, rifiutando le immagini come se tutto il vivere fosse un oltraggio: a chi non può riscattarsi dal suo silenzio'. Sono tutte sequenze malsicure, malferme. E Lynch costruisce qualcosa che sembra appartenerci tutti. Chi ha mai avuto un incubo, riconosce questo film e forse lo aspetta o lo rifiuta. Ma questa è una posizione emotiva, come uno shock. Il sogno come veleno ritardato.
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Formule ma Lynch usa il Cinema come fosse chemioterapia e usa l'immagine come fosse il tumore.
Per questo le formule e il telefono che squilla non solo dentro la scena a teatro, mentre stanno finendo le parole e la paranoia non ha più voglia di restare nella penombra. E' un interrogatorio e bisogna rispondere e la violenza è data sempre dall'uso del grandangolo spinto. La mente è stridio di denti, dice Lynch. Si può fare all'amore in questa situazione? Si può risalire all'origine della scrittura in questa situazione? Controlliamo l'ottica, controlliamo il diaframma, il megafono k dice che bisogna applaudire. E guardatevi il film per sapere se tutto questo è vero. La violenza finale, è lo stupro e la paura e i grovigli del passato, quanti sguardi, correvamo felici in un corridoio di notte, tutta la scena resta dentro e fuori un monitor, perché c'è una regia, c'è un regista. Fuori e dentro il film. Stanza 205. E' in verità un bordello, e poltrone rosse e donne che si cercano si baciano, restano. Questo film mette insieme tutto, quasi tutto. E fa quello che può, ovvero gli manca la prima e l'ultima immagine, proprio quelle che Lynch ha girato e rigirato e poi montato. Dopotutto basta solo trovarle queste immagini e toglierle o forse senza nemmeno entrare nel cinema, aggiungerle come se il film lo si fosse visto per davvero. E' una visione intima che inquadra bene che fine fa tutto quanto, che fine fa di questi tempi la cognizione del dolore. E' un film che disarciona una mente dal suo impero effimero. La disarciona attraverso il solito gioco film dentro film e di questo forse non ce n'era bisogno, non avevamo bisogno del solito romanzo scritto mentre si sta scrivendo un romanzo e la storia narra di questo, o di una poesia scritta che dice di più della struttura che del pensiero di cui dovrebbe avere necessità, e così ormai tutte le cose parlano di questo, anche in pittura da anni si fa questo, come nella fotografia, e sono anni che i film ci raccontano di essere dei film che si stanno girando…eccetera, si resta così a metà tra una mente e un impero che però in effetti (nell'effetto) ci riguarda tutti, mentre la metafora mette ai personaggi teste di coniglio giganti. Quale teatro resta? Quale cinema resta? Quale impossibilità ha attraversato David Lynch? Forse una macchina da scrivere ha i fogli che ci dicono in quale labirinto siamo? Le scuole non hanno mai dato l'opportunità a chicchessia di pensare. Siamo di fronte alla pluralità ingannevole delle parvenze fenomeniche:
All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy All work and no play makes Jack a dull boy
Caro Lynch,
perso il testo. Fuori fuoco.
Chiuso talora nel castello, a godersi le sue pere in via di maturazione e però dure come sassi: gli dava il solfato di rame, poi lo solfo, la calce e c'erano dei vasetti con acqua e miele legati ai rametti, dove le peggio vespe ci rimanevano in guazzo, sicché le pere, a maturazione avvenuta (…) costavano da ottanta a centotrenta lire l'una, come quelle del compianto marchese: solo che, lui, poteva permettersi certi lussi, mentre il povero marchese stentava a tirar la carretta.
(Nel montaggio del testo, immagini di repertorio tratte da Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, ed. Einaudi, 1970 Torino e da Shining di Stanley Kubrick)
"Creare non significa deformare o inventare persone e cose. Vuol dire stringere fra persone e cose che esistono, così come esistono, rapporti nuovi."
(Robert Bresson, Note sul Cinematografo, ed. Marsilio)