VITTORIO DE SETA

28 novembre 2011, Sellia Marina


Quando siamo venuti a trovarti a Sellia Marina, e abbiamo attraversato la Calabria, la costa, il mare, le case costruite fin sulla riva in un disordine folle e senza senso. Quando siamo arrivati a Sellia, e il paese sembrava deserto come in quei film western, e siamo arrivati alla tua casa, e subito c’hai fatto vedere la tua terra, gli ulivi, il pozzo e l’impianto di irrigazione che ti sei costruito con le tue mani. E la casa, un grande casale di campagna, diviso in più stabili, aveva tutta una parte dismessa, da restaurare, e avevi l’idea di fare una grande scuola di cinema, per i ragazzi calabresi dicevi e per tutti i ragazzi che vengono dall’Africa. E poi ci hai cucinato il pollo in padella al vino! E ci siamo seduti e hai parlato, hai parlato tanto, del cinema del tuo cinema, e ci hai raccontato del film nuovo, dopo Lettere dal Sahara, che stavi scrivendo, di nuovo la storia di un bandito inseguito da una truppa di soldati borbonici fin nel bosco, sulle montagne, e la storia era talmente visibile che sembrava essere proiettata. E’ stato così che abbiamo visto l’ultimo film, non girato, di Vittorio De Seta. Sellia Marina era avvolta da un vento forte, che tirava da tutte le parti, e il mare era gonfio, deserto, con le onde che ancor più sembravano spazzare via il tempo.

La morte di Vittorio De Seta ci coinvolge tutti, è stato un uomo come pochi capace di guardare e di andare incontro ai problemi, un artista attento, capace con un’inquadratura di essere subito dentro le cose, dentro la verità degli avvenimenti. Vittorio De Seta è stato tante cose, non solo il regista di Banditi a Orgosolo, o di Diario di un maestro, ma vedere In Calabria, L’invitata, La Sicilia rivisitata, Un uomo a metà, Quando la scuola cambia, Hong Kong, città di profughi, e tutti i documentari brevi e non, che la sua cinepresa ha filmato, vuol dire rendersi conto che il lavoro di De Seta è necessario. Il suo cinema è qui a dirci che l’uomo resta uomo quando osserva, quando  avvicina, quando comunica, quando va incontro, quando mette in gioco la propria responsabilità di individuo. Il suo ultimo film Lettere dal Sahara è cinema d’autore, è il film che ci dice che il cinema italiano esiste ancora, sono pochi i film necessari fatti in questi ultimi trent’anni, e De Seta ha sempre fatto cinema necessario, perché ha sempre filmato per gli altri, ha sempre visto gli altri prima ancora della sua cinepresa. Lettere dal Sahara resta un testamento aperto, è una liaison tra mondi possibili, è quella cosa che rende possibile l’impossibilità. Lettere dal Sahara è come India di Rossellini, apre il campo a un’idea, e dobbiamo, bisogna percorrerla. Vittorio De Seta per una vita ha filmato e intrapeso la sua avventura come un pioniere, ma anche come un pistolero solitario, ha costruito il tempo della sua opera, ha, passo dopo passo, messo insieme un mondo di storie e di immagini che sono la forza di un pensiero che ci oltrepassa. De Seta ha costruito delle fondamenta, la sua opera è piena di pilastri che ci fanno vedere, che ci portano la memoria, che la proteggono e la trasformano; la sua opera ferma i tic, i vezzi, le ipocrisie, le leggende, le convenzioni, le feste popolari dell’uomo contemporaneo, ma anche la sua bellezza. La sua opera pone al centro l’uomo e la sua storia. De Seta è un pittore di storie e di memorie, egli dipinge l’inquadratura, e ce la rende così come anche noi, distrattamente, la vediamo ogni giorno. Se ne va un Maestro, un vero Maestro, perdiamo qualcuno che è stato davvero capace di volere bene e di costruire questo bene. La sua opera la terremo sempre come quell’impianto di irrigazione, perché in ogni film che ha attraversato, in ogni persona che ha filmato, De Seta è stato capace di portare quel sogno di libertà, quell’idea di lotta per libertà, e questo c’è in ogni suo film. Ha sempre riaffermato al centro delle cose l’uomo, affinchè la collettività sia il risultato della coscienza dell’individuo e della sua libertà. Individuo e collettività, tutto il suo cinema racconta di questa lotta, dove le regole e il potere finiscono sempre con l’imprigionare quel poco di libertà e di senso dell’avventura che la nostra memoria ci spinge a cercare, a trovare.

Quando dopo tre giorni di compagnia, abbiamo lasciato Sellia Marina e la casa di Vittorio De Seta, eravamo ancor più coscienti e attenti, sapevamo bene dove stava il cinema, dove era il cinema, cosa dovevamo fare perché il cinema fosse l’espressione della verità e incontrare Vittorio De Seta, è stato come avvicinare un luogo sempre vivo, pieno di immagini, un luogo d’amore, dove tutti gli sguardi restano. Quando abbiamo lasciato De Seta, lui ci salutò con forza, ci diede una grande forza, e ripresa la strada del ritorno, chilometro dopo chilometro, ci rendevamo conto che il lavoro da fare non solo era mostruoso ma donchisciottesco. Nel cinema, quello vero non si è mai soli, non si è mai stati da soli nel cinema, tutti i viaggi sono e restano della compagnia, (Beckett). I viaggi non sono mai solitari. Si parla e si vive sempre per qualcuno. C’è sempre qualcuno che vede e ascolta, per questo quando si accende una cinepresa dobbiamo tenere a mente che la responsabilità ci tiene presenti sempre. Quella responsabilità che rende un’opera di Welles presente a noi come un’opera di Kafka, o un’opera di Caravaggio presente come un film di Dreyer, o un film di Ford presente allo stesso tempo di un’opera di Delacroix, o un film di Bresson che risuona oggi come un’opera di Bach. Il cinema, come tutte le arti, è presente a noi sempre quando decide di prendersi la responsabilità di dire e di vedere, Rossellini è forse il primo, intuitivamente e con metodo dopo, a comprendere e a lavorare per l’umanità, nel cinematografo. Germania anno zero è presente oggi, molto di più di ieri, e Godard con l’Eloge de l’amour attraversa cinquant’anni e più di immagini e le spoglia e le umanizza e ne fa una critica della ragion pura…e De Seta con Lettere dal Sahara compie il suo viaggio, lo fa cercando e mettendo insieme, fa il suo viaggio difficile e semplice e mette insieme l’Africa e l’Italia come non si è mai visto fare al cinema, con una parabola del vero e con una tenerezza che fa di questo film una pietra che resta.

Le nostre forze a volte ci appaiono deboli e incapaci ma De Seta è qui a dirci che questa forza deve essere innaffiata sempre, sempre, perché abbiamo una responsabilità, noi che amiamo Bresson, Rossellini, Godard, Lang, Dreyer, Welles, Murnau, Ford, Ray, Walsh, Bogart, Fuller… l’elenco è infinito, restiamo qui a vivere di queste persone, queste persone che hanno vissuto e lavorato per la stessa idea: vivere e lavorare per la libertà dell’individuo, perché quello che dobbiamo mettere insieme sono inquadrature vere, dentro film veri, che vedono e che sentono e che parlano di persone vere, perché viviamo con persone vere. E dobbiamo trovare il tempo, dobbiamo avere il tempo per imparare ed essere artigiani di questa lezione immensa che è stata l’avventura cinematografica di Vittorio De Seta. Sicuramente sbagliamo e sbaglieremo, ma dobbiamo tenere, e sapere cos’è il silenzio delle sirene. Viva Vittorio De Seta.

Giovanni Andrea Semerano

De Seta, Lettere dal Sahara elaborato da M.Guerra