Mario Monicelli
A Roma pioveva, e il traffico intorno a San Giovanni andava spegnendosi. I tumulti tra polizia e studenti scoppiati in pieno centro davanti i palazzi del potere, fin dalla mattinata, precipitavano in serata, nel fumo e nello scontento generale. Ieri 29 novembre 2010 Mario Monicelli ha deciso di saltare la ringhiera del balcone al quinto piano dell’ospedale San Giovanni di Roma. Mario Monicelli aveva 95 anni e anche suo padre morì suicida. Ma non vuol dire nulla. Con Monicelli se ne va il corpo quasi centenario del Cinema. Qualche giorno prima era morto Dino De Laurentiis e qualche mese prima Suso Cecchi d’Amico. Per non dire di tutti i compagni di viaggio scomparsi già da qualche anno: De Sica, Anna Magnani, Totò, Paolo Stoppa, Gassman, Tognazzi, Noiret, Sordi... Mario Monicelli abitava al Rione Monti, alla Suburra. Adesso, a qualche ora dalla sua morte, si resta a leggere la montagna di coccodrilli, anch’essi presi alla sprovvista dal colpo, dall’ennesimo colpo al cuore e alla mente, che questo incredibile uomo di cinema fino all’ultimo respiro ci ha dato. Con la morte di Monicelli si chiude un intero capitolo del cinema italiano. “Il suo cinema si è mostrato subito, già da Totò cerca casa (co-regia con Steno), capace non solo di raccontare ma anche di penetrare gli angoli più bui, più folli e bizzarri dell’italiano medio e della sua storia, e non solo”. Ma Monicelli è un grande regista, come Visconti, Fellini, Antonioni. Grande come lo è Zurlini, grande come Ferreri, come Petri, gente che al cinema ha dato non solo tutta la propria verità, ma ha combattuto contro le mediocrità, contro le pigrizie, contro le astuzie, contro tutta quella robaccia che oggi fa ed è il cinema italiano. Certo hanno sbagliato tanto, hanno sicuramente perduto, ha perduto il cinema. Ma in questa sconfitta Mario Monicelli è stato l’ultima rosa a muoversi nel deserto. I coccodrilli a leggerli fanno pena, e peggio sono quelli della televisione, da una trasmissione all’altra, da un telegiornale all’altro, a costruire una finzione dietro l’altra, e amici attori, chi lo ha conosciuto, chi ha provato a leccargli il culo, chi c’è rimasto fulminato, chi fa lo scrittore, chi il comico, chi il conduttore televisivo, tutti a fare l’ultimo applauso. Ma quale ultimo applauso, la morte di Monicelli è l’inizio di un nuovo film, e questo film l’ha incominciato con la testa, non d’istinto, come spesso affrontava filmicamente le proprie storie, ma questo nuovo ultimo film è a noi dato con metodo. Un metodo pensato, e riflettuto a fondo. Monicelli si lancia nel vuoto, direbbe Lucarelli in cerca di un assassino, che chiaramente non è Haber. Monicelli in verità sembra morire come Edmund, come l’Edmund di Germania anno zero. Muore come testimone (anche Levi si getta?), muore come filosofo, (anche Deleuze si getta?). Monicelli fa qualcosa che di solito chi ha 95 anni non fa. Monicelli è un intellettuale, è uomo di pensiero. Il suo cinema ha assunto alcuni caratteri della commedia italiana ma non appartiene ad essa. Il cinema di Monicelli ha osato qualcosa che oggi, da anni, nessuno più osa, ovvero dire la verità. Ovvero fare il cinema d’autore. Con la commedia, con il dramma, con il western picaresco, con il cinema. C’è chi si dice attonito e con commozione balbetta che Monicelli era stanco di vivere. Monicelli era stanco di morire. In questo paese, in questo cinema italiano. Monicelli era stanco di morire nell’indifferenza e nell’irresponsabilità più totali, era stanco di morire in questa “borghesia da monnezza”. E, tra i coccodrilli, non mancano quelli che per tesserne le lodi vanno subito a caccia dei cosìdetti “eredi”. E gli “eredi”, eccoli, pronti, davanti la cinepresa, intervistati da una signorina dietro l’altra, a dire una menzogna dietro l’altra, mentre la camera taglia sul loro primo piano e il cinema, o ciò che resta del cinema, muore ancora una volta. E tutti i parenti e i serpenti e gli idioti, e il cinema italiano di oggi, e tutti gli altri ipocriti idioti che si sono sentiti protagonisti. Tutti hanno applaudito la morte del grande regista. L’armata fantasmagorica di alieni, senza i grandi clowns ma con le inquadrature, le mezze cartucce e le finte pacche sulla spalla, con le viziose e insulse sdolcinerie… Quest’armata di altri e altri ancora commedianti, ha seguito cosa? La bara? La bara fin dentro la casetta del cinemino italiano? Non si capiva bene quale fosse la bara… Ora che il capocomico è morto, è finito nel tamburo, e intorno il vuoto. Il vuoto non ha più memoria, né sentimento, né capacità di guardare. Non può amare. È un vuoto terribile, assurdo, che, nascondendo la morte, evita la vita. Monicelli è solo e in questo essere solo ha marcato non solo una differenza ma una forza. Lo ha fatto per noi. E noi dobbiamo reagire a questo mondo sempre più vigliacco e meschino, sempre meno capace di proteggere le proprie intelligenze, sempre più incapace di dare libertà e responsabilità persino alle proprie debolezze. Monicelli è solo come Edmund ma a differenza di Edmund che muore disperato, che muore ucciso, Monicelli è vivo, muore vivo, muore in piena consapevolezza. Monicelli non è disperato. La sua morte è un ennesimo, e straordinario movimento di vitalità. Come non ricordare le incredibili sequenze tra le lapidi girate con Monicelli da Ciprì e Maresco e con quel Napoli (vivo anche lui): “muoiono solo gli stronzi”. E questo popolo di coglioni che siamo, pronti a infervorarci alla prima gnocca o all’ultima saga dell’antimafia che ci propinano… E questo popolo di coglioni che siamo… Credo che, di fronte a questa morte, dovremmo fare la più grande e la più straordinaria delle caciare, perché questa è l’ultima morte vera del Cinematografo italiano. Tutte le altre segneranno la morte di cadaveri già putrefatti. Viva Mario Monicelli che nella sua vita ha sbagliato troppi film pur sapendoli fare! Ma ha tenuto il circo, ha sparato contro il circo. E ora tutti i clowns del mondo dovrebbero prender l’arme e sparare e provare ad abbattere questo bècero sistema che ha liberato le iene e ha fatto sbranare i clowns. Ma dove siete, clowns del mondo? Sono morti tutti, sono tutti morti… Cinefili di tutto il mondo, fate caciara! Saltate sui letti! Andate a prendere questo zero in condotta. A nulla serve essere cinefili, se non a passare da una camera d’albergo all’altra, come degli zombies, ospiti paganti di un carrozzone comandato dal solito Nabulione di turno. Monicelli è Brancaleone, Monicelli è il Melandri, il Necchi, il Perozzi, il Sassaroli, il conte Mascetti, è tutti loro insieme, ma anche Antonio Vivaldi… Monicelli è Peppe er Pantera, è Tiberio, è Dante Cruciani, Monicelli è Lorenzo Bottoni e Ferdinando Esposito… Monicelli è Gasperino er carbonaro, e Onofrio del Grillo… è Pautasso, il prof. Senigallia, ed è Elena, Claudia e Franca e zio Gugo… Monicelli è Oreste Jacovacci e Giovanni Busacca… Il cinema di Mario Monicelli non è mai stato commedia all’italiana. Chi ha preso, negli ultimi anni, un caffè al Rione Monti con lui, chi lo ha conosciuto anche per poco tempo, ma veramente, chi ha saputo vedere e guardare i suoi film, sa che Monicelli aveva dentro la macchina ammazzacattivi, e sapeva, sapeva tutto.
A Chiara, Rosa, Tommaso, a tutta la famiglia tutta, il mio più sentito e forte abbraccio.
Vostro, sempre, Gians.